GIOVANNA D'ARCO

Genere: Storico - Anno: 1999 - Giudizio: Negativo (°)

LUC BESSON RAPPRESENTA SANTA GIOVANNA D'ARCO COME UNA PAZZA SCHIZOFRENICA

Un film costoso, pomposo e mediocre su un medioevo falsato


Il film del 1999 su Giovanna d'Arco, interpretata dalla bella Milla Jovovich, è una versione della vita della pulzella d'Orleans diretta dal regista francese, Luc Besson, che cerca di conciliare aspetti psicologici di stampo europeo con una spettacolarizzazione di tipo americano.
Se Giovanna d'Arco é personaggio storico forte e senza compromessi, Besson pensa di assecondarla, scegliendo la strada del racconto fragoroso e imponente: grandi scene di massa, battaglie dove risuonano i rumori delle armi, dei colpi duri, degli scontri fisici. In questo scenario epico e crudo, Giovanna irrompe, portando una carica visionaria impossibile da frenare.
Il film la coglie fin da piccola, quando voci e segnali la spingono al compito di cacciare gli Inglesi dalla Francia. Ma quali voci, quali segnali? È evidente che a Besson interessa meno l'aspetto spirituale e più quello rivoluzionario, eversivo, carismatico. Come tutti i “predestinati”, Giovanna si muove sui confini della follia e dell'irrazionale. Una invasata, sulla quale la Coscienza, nel finale, fa calare dubbi e incertezze e che tuttavia ormai non può più tornare indietro.
Non c'è dubbio che in una rappresentazione di questo tipo ci sono delle forzature, il furore, le grida, i rumori sono così forti da precludere gli spazi per un'attenzione al personaggio anche sul piano interiore, sul suo essere donna di Dio e della Chiesa.
L'atteggiamento laicista del regista è evidente nell'episodio della spada trovata da Giovanna in un prato. Besson, verso il finale del film, dà diverse spiegazioni sul come era potuta finire lì. Tutto in funzione di una resa razionale del caso Giovanna d'Arco del tutto arbitrario.
Anche sui personaggi storici coinvolti nella vicenda di Giovanna il film è manchevole: il duca Filippo di Borgogna, il più grande politico, il principe più affascinante del suo tempo, è un ridicolo e imbarazzato manichino; il torvo consigliere di Carlo VII non è per nulla reso come un diplomatico accorto e consumato; differente il caso della suocera di Carlo VII, Iolanda d'Aragona, che nella vicenda di Giovanna ebbe poca influenza mentre nel film è una sorta di regina cattiva di Biancaneve. Inoltre il pubblico italiano è stato privato del titolo originale inglese "The Messanger", che rendeva molto bene il nucleo dell'esperienza e dell'autocoscienza di Giovanna, preferendo il più banale e scontato nome della protagonista.
D'altra parte, se il film ripercorre in modo più o meno generico e anche un po' scontato le tappe degli avvenimenti relativi a Giovanna, nulla o quasi in esso si ravvisa di plausibile in ordine alla sua figura. La bella ragazza ossessionata dalla scene di violenza viste da bambina e dalle visioni mistiche un po' new age, che vive la sua missione quasi come una vendetta contro gli inglesi che dinanzi ai suoi occhi le hanno ucciso una sorella e che cade ogni tanto in una sorta di trance, risponde poco alla problematica della Pulzella: nulla del suo forte legame con la «devotio moderna» tardomedievale; nulla dell'intenso e tormentato periodo tra maggio e luglio del 1430, cioè tra la cattura a Compiègne e l'arrivo prigioniera a Reims (il momento forse più cupo e intenso della "crisi delle certezze" di Giovanna); nulla sul dramma della sua solitudine in carcere, rimpiazzato dai colloqui con un'immagine allegorica, una "coscienza" in barba e saio che, per aver il volto di Dustin Hoffman, a qualcuno ricorderà Capitan Uncino.
Un film costoso, pomposo e mediocre su un medioevo convenzionale, con scene di massa alla Braveheart nel quale qualche sciabolata di ambigua luce spirituale sostituisce il "territorio evitato" d'un discorso plausibile sulla santità.

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